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martedì 19 marzo 2013

Non c'è niente da fare













Non c'è niente da fare:

le frustate (vere.. ) mi mettono, mi lasciano in uno stato di TIMORE, di TREPIDAZIONE, di tremore..
che altrimenti non c'è; non c'è niente da fare.

Sottile, che si instilla sotto e che governa le cose.
Lo vedo mentre lavo i piatti, dopo. Lo vedo in ciò che penso e provo.
Come.. SONO.
Sono in un altro modo, alla Padrona (e alle cose, alla giornata, ai lavori..) quando prendo frustate VERE .

(VERE non è selvaggiamente forti, o disordinate, casuali: è intense in maniera incisiva, cioè tali da lasciare il segno. Visibile o no, vistoso o meno non ha importanza. Da lasciare il segno, "segnare", marcare e marchiare; da incidere -essere ordinate, volute e dolorose- PIU' di quello che lo schiavo riesce serenamente a sopportare. Che richiedono uno sforzo, doloroso, e procurano un dolore che impagna, impegnativo. Che lascia traccia -di sè e della Padrona- nel corpo, nell'anima e nella mente.
Allora... insorge un tremore e timore, una... SOGGEZIONE, che cambia lo stato danimo e la giornata.
Impercettibilmente -a volte- a volte in maniera clamorosa. MA... è il segno, il marchio, la presenza e l'intenzione -e perchè no, quando c'è, il Piacere- della Pafrona.

E del modo di sentirLa nella propria vita.

Appunto: Timore, trepidazione, tremore, e SOGGEZIONE.
DIPENDENZA -obbligasta-, sottomissione, SCHIAVITU'. A  LEI. Per il SUO PIACERE.


Non c'è niente da fare: (le frustate ) non sono sostituibili con niente. Hanno un modo, un linguaggio loro. Il resto, sono altre cose. Con i loro pesi e valori.
Le frustate, restano quel che sono. (quando sono vere) Strumento sovrano. di trasmissione, di potere.
Di trasmissione di tutti i modi, e valori. Sensazioni, idee,  atteggiamenti.






alla mattina lavando i piatti.

mercoledì 27 febbraio 2013

Fustigazione.







Un calore dilatato e suffuso sulle natiche oggi, mentre ero seduto durante il pranzo.
Esse sembravano allargarsi. 

Ed un maggior calore, inizio di sensazione bruciante, sullo scroto.
Sono stato punito (non molto, in maniera civile, più che altro "rappresentativa"... -ma ringrazio la Padrona per la lezione, che ha avuto la pazienza e la puntualità di somministrami. Alla centesima volta -o 300...- capirò qualcosa. Procedendo di questo passo debbo vivere duemila anni). 
La ragione era una trascuratezza, chiaramente visibile, nel riordinare la Sua camera stamattina.
Invece, contrariamente a quanto aveva promesso...











non sono stato punito per niente per quanto di davvero riprovevole ho fatto accadere ieri sera.
Ecco.. mi figuravo fra tutte le mancanze, trasgressioni od errori che ho fatto, questa fosse davvero la più grave. e che quindi potesse avere conseguenze disastrose. Ed invece... niente, contrariamente a quanto aveva dichiarato (ed io paventato). Stamattina ero convinto che l'avrei pagata cara, ma proprio una lezione da non dimenticare forse per mesi, e sicuramente...  per settimane, ma settimane in senso reale.
Una lezione che dà la soddisfazione a chi la amministra.. di farla proprio con piena ragione, e di essere nelle condizioni di dare un segnale... esemplare. Radicale. Quelli che spostano verso su l'asta del salto stabilendo, con soddisfazione di chi li pratica.. e li applica, dei nuovi standard. Come dire: migliorare le prestazioni, con un leggero "sforzo" in più... ma largamente giustificato. Anzi.. doveroso e dovuto. A... "malincuore", come piace dire ai padroni, falsi come una moneta di rame.


 Non se n'è fatto niente invece. (A meno che, la "lezione" venga assegnata oggi e sia "non mettere lo zucchero nel caffè per un mese", o qualcosa d'altro.
Ma qui... si parlava di un'altra cosa: di fustigazione.
Di fustigazione... punitiva.

Il caffè nello zucchero, o con il sale, non fa lo stesso effetto.
meglio così per lo schiavo.

Che forse... verrà punito. Ma, per lo schiavo come per l'acciaio da forgiare, vale sempre il vecchio detto: "Batti il ferro finchè è caldo". Per ottenere lo stesso risultato da freddo... si fa molta, ma molta più fatica.



-L'immagine, viene da Dylan Dog. n° 28, Lama di rasoio.

 "Ancora...






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Piatti sporchi e fruste.














Ieri sera...una piacevole sessione di frusta (per la Padrona).
Un'apprezzata sessione di frusta. (Quirt e altro, in questo caso).

Una sessione "ristoratrice", che la Padrona ha "regalato" allo schiavo, dopo le fatiche della serata.
Le "fatiche" della Signora, che quelle dello schiavo non hanno neanche la dignità di essere richiamate.
(E qui si parla davvero, non in maniera ampollosa. Ma sostanziale).

Ci sono delle regole nella schiavitù, che vanno seguite: regole sostanziali, basilari. Dal linguaggio alla descrizione delle cose, alla loro storia iscritta, depositata e tramandata, come alla loro visione e considerazione. Per instillare (quotidianamente, costantemente) un "giusto pensare", una giusta visione, prospettiva. Punto di vista. Non si può ripensare (o ridiscutere) all'infinito se "è giusto avere uno schiavo o no..", e altre simili, inutili, e deformi (o "inquinanti.." ) questioni o quesiti: la questione si risolve, come diceva qualcuno, nell'avere uno schiavo, e dopo il problema non si pone.

Si tratta poi di dare corpo a questa cosa, e nell'evitare ogni possibile fonte di inquinamento o di confusione. ANCHE con i termini e le parole. Le fatiche dello schiavo semplicemente non esistono, neanche dal punto di vista lessicale. Sono DOVERI.
Le "fatiche" (piacevoli o no, a volte gradevoli a volte meno) sono della Signora.

Che ieri sera si è RISTORATA, dalle fatiche della sera.



Ieri mattina lo schiavo ha schieggiato un piatto della Padrona, lavandoli.
Non è stato appropriatamente punito. Adeguatamente punito. La Signora avrà avuto altro da fare.
(O applica il metodo montessori.)
la prossima volta ne scheggerà due, e così andremo avanti sempre verso il meglio. O dovrà auto-governarsi sulle scheggiature dei piatti. E del vasellame.

Al di là di questo, riponendoli poi nella credenza ha scoperto che ce n'è un'altro o due ugualmente scheggiati. Ora, al di là della sfortunata qualità dei piatti che questa volta ha acquistato la Signora (ed è cosa che va da sè ed ampiamente dibattuta), scomodi, fuori misura (evidentemente fragili, hanno uno spigolo vivo) econ la caratteristica di essere "adesivi" per il cibo (o gli avanzi) che vi rimangono depositati sopra, gli ha fatto scaturire delle osservazioni, che poi han seguito il filo maestro della "lavatura di piatti", suo compito quotidiano.

Innanzitutto, l'occasione è stata data dal fatto che quei piatti si dimostrano scivolosi.
E scivolano (di più) perchè lo schiavo usa i guanti, come vuole la Padrona.
Lo schiavo non è abituato ad "usare i guanti", neanche quando spacca le pietre, con le mani.
Della vecchia scuola, gli ha sempre fatto "poco virile". Ora sta imparando, ad essere più "gentile" (deve imparare), accorto, sollecito, cortese. Ed anche i guanti possono essere (un punto, un millimetro...) di passaggio.
Per cui sta dedicando (deve dedicarsi): sta imparando. Ma i guanti sono diversi: falsano il tatto.
E quindi deve mettere attenzione a percepire le cose con i guanti, pena lo sfasciare tutte le stoviglie alla Signora.
Il fatto che stia imparando non significa che non debba essere punito (anzi, certa scuola dice il contrario. cioè deve essere PIU' punito, per imparare. velocemente).
Ma restiamo ai guanti, ed alla loro diversità: innovazione e diversità.
Allo schiavo in realtà piacciono i guanti. Ha cercato di capire perchè.
(al di là del rompere più facilmente i piatti, e che questo lo porrà nelle condizioni di peggiori punizioni, cosa che non lo entusiasma affatto).
Innanzitutto è il latex, cosa che salta agli occhi al primo acchito. Perchè quelli che usa lui sono abbastanza (giustamente?) stretti, cioè aderenti. A differenza di quelli di cavatore, delle alpi apuane. Difatti là sono tutti anarchici: sarà per quello.
E c'è un piacere (lubrico), che rende entusiasmante lavare i piatti.
Ma non è solo per quello, perchè quello è fisico, immediato.
C'è un altro piacere... narcisistico, interiore. Forse narcisistico non è la parola adatta; viscerale.
Un... compiacimento.. viscerale, ecco.
Perchè... avviene?
perchè, uno, nelle immagini (che lo schiavo ha in mente, non sa se condivise da altri), l'uomo che lava i piatti... (di solito in camicia e cravatta.. fa ridere di più,) non usa i guanti. Uno perchè non è abituato (e non si rovina lo smalto delle unghie) a farlo sempre, due perchè fa un po' intellettuale, vagamente di sinistra, che lava i piatti "come se fosse normale", per par condicio femminista, e lo fa allegramente, finita la cena. Con gli amici al tavolo che si bevono le grappe, in maniera conviviale.
Il forno poi non si sa chi lo lava.
Una maniera "ottimista e di sinistra". Mentre i guantazzi in gomma fanno tanto donna delle pulizie, massaia. Un ruolo, una posizione incredibilmente più bassa dell' "intelletuale di sinistra".
La donna delle pulizie (adesso chiamata "signora") non si siede a bere la grappa al tavolo con gli amici. La signora delle pulizie è la donna delle pulizie, la sguattera... con nuovo nome.
Persona molto più umile, nella fotografia e nella scala sociale.
I guanti sono anche della massaia sciatta e trasandata che apre la porta di casa come fosse la porta del mondo, con il secchio ancora in manoe la vestaglia (o il grembiale) addosso. Solo le pin-up tengono i guanti per 10 nanosecondi nel film, le massaie per tutta la mattina.
Mettere i guanti... fa più donna delle pulizie/massaia che jean-Paul Sartre (con tanto di pipa) non c'è dubbio alcuno. Lo schiavo lo trova molto più consono (e rappresentativo) del proprio rapporto con la Signora (che cura le SUE unghie ); più vero.
Lo rendono più umile, i guanti, ai suoi occhi e davanti a quelli della Signora. la quale giustamente non li usa... come Padrona.
E dà ordini alle donne delle pulizie, alla "servitù". La quale non si presenta certamente in tacchi a spillo, e abiti da gran sera.
E lo schiavo scopre di desiderare d'essere, immaginarsi d'essere... la domestica, la donna delle pulizie, massaia... della Signora. E qui il problema è lessicale. cioè, lo schiavo non è che voglia assumere le parvenze dell'altro sesso, cosa improponibile materialmente (se non.. forse.. come umiliazione e caricatura) ma perchè in italiano (come in inglese, come in cinese, come in tutte le lingue forse al mondo): non è declinabile "il massaio". E "domestico" è diverso da "domestica". Il domestico non lava i piatti ed è in livrea. Magari serve in tavola ai padroni ma non... sta in cucina a lavare dalle pantole i fondi di cottura che ha lasciato la cuoca. Il domestico... è già un po' più signorile della domestica, che è anche proletaria e popolare. La domestica ce l'hanno tutti, anche l'impiegato municipale, il domestico è un attimo più su, nella scala sociale.
Per cui "massaia e domestica", per lo schiavo, nel servire la Signora, anche se non si può dire. pronunciare. perchè fa ridere.
Ma i guanti fanno l'umiltà del servizio che lui crede di dover fare, del ruolo (di una parte dei ruoli: l'altro è da schiavo. Un altro (minori questi) potrebbe essere da animale da compagnia, cane scaldapiedi, scendiletto, paziente da visitare, eretico da torturare... a discrezione della Signora. dei Suoi giochi) che ha, nei confronti della Signora. Che non è solo lavare i piatti (pavimenti, ecc) ma essere il più umile domestico, per Lei; quello che è chiamato continuamente ai compiti più umili (oltre a TUTTi quelli necessari) mentre Lei può dedicarsi così a vivere "da Regina" (ed applicarsi a vivere.. DA PADRONA), guardando "allo schiavo" (cioè percependo lo schiavo) proprio come a un suo domestico, più che l'altro (o l'unico) coabitante, della casa. Che poi va a finirla, appunto, che lo schiavo è anche l'"unico altro abitante della casa".
I guanti, in questo, possono aiutare a marcare la differenza, come tutte le altre cose.
Diventano "anche" mediatore culturale. Oltre ad essere in latex, ed a salvare le mani dello schiavo.
"Domestico e "domestica", della Signora.

Anche. Oltre che SCHIAVo, in senso sado-masochistico. Cioè persona da torturare.
Da dominare, da punire. Da addestrare, alla schiavitù più reale e più totale. PER (e con..) il Proprio PIACERE.




giovedì 21 febbraio 2013

Oggi, i primi segni.






Oggi, i primi segni.





modestissimi , ma... sono I PRIMI SEGNI. Della proprietà della Padrona, della Dominazione della Padrona, del sadismo e del piacere della Padrona... nella mia carne.
Dell'applicazione della Padrona, dell'attenzione della Padrona, e sono stati visti oggi. Sono emersi oggi.
Ed oltre all'emozione, al piacere e alla trepidazione di appartener..Le. Oltre a quanto ci può essere (e c'è), dentro e dietro, il pensiero che mi scorreva come un'emozione sotto pelle... la sensazione che far tutte si delineava in netta autonomia, era la memoria di come, mentre -nel momento in cui- Lei faceva quei segni... in quell'istante (ed è per quello ch li faceva)... Lei PROVAVA PIACERE. UN PIACERE SADICO E FORSENNATO, UN PIACERE COMPLETO. UN PIACERE VISCERALE E PIENO, VAGINALE ED IN OGNIPARTE DEL SUO CORPO E DELLA MENTE... LEI SI ECCITAVA; SI ECCITAVA E GODEVA.
I segni sono il segno, la memoria "fisica" nella carne, il risultato e la firma, il percorso... del Suo Piacere. Sono IL Suo Piacere depositato nella (e fatto) carne, in me.
Ed allora i segni non sono più segni di una sofferenza, ma gioia, timbro e sugello di un'appartenenza, di un possesso, di un piacere morboso e sessuato, potente, dispiegato, eccitato e perverso.
Sono il segno della Sua firma, del Suo passaggio, del Suo agire e del suo godere, dell'agire PER godere,  in maniera lussuriosa e manifesta. I segni sono tutto questo, per piccoli che sono.
E proprio oggi poi, in QUESTA giornata sono emersi e sono venuti a galla.
Alla luce del sole.
Segni "magici" e di cose, del divenire e dell'accadere, del farsi materiale, che ieri/oggi accade, con segni (ancora) e simboli, emblematici e manifesti. Insomma "fuochi del Redentore".
E chi pensa ancora.. che le cose siano spurie ed isolate.
poi si comincia a vedere, come si leghino insieme. come siano collegate assieme. Ed è stupore.
























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mercoledì 20 giugno 2012

Knut's, (per... letterati)








Il colpo di fulmine. 

7° puntata. 

Psicopatologia di un amore improvviso

Scritto da in Colpo di fulmine

Il cavaliere Leopold von Sacher Masoch ebbe spesso a chiedersi quale disgrazia fu per lui peggiore fra l’aver sposato Aurora Rümelin e l’esser stato soggetto di studio per Richard von Kraft-Ebing, psichiatra che gli dedicò la novantina di pagine del nono capitolo della sua celebre opera – Psycopathia sexualis – legando indissolubilmente il suo nome a quello di una psicopatologia sessuale, il masochismo, appunto.

Tutto cominciò con un colpo di fulmine: quello di Aurora Rümelin per Leopold.


Leopold von Sacher Masoch

Aurora Rümelin



























Aurora Rümelin incrociò il suo futuro sposo nella Heynaugasse, davanti alla casa dove abitava il capo della polizia di Graz. Fu Anna von Wieser, sua compagna di corso alla scuola di cucito frequentata dalle ragazze appartenenti alle migliori famiglie della città a indicarglielo. «Mi tirò bruscamente per la manica e, tutta agitata, mi disse indicandomi una coppia che camminava davanti a noi: “Ecco Sacher Masoch e la sua fidanzata”».
Lui vestito di nero, la figura sottile e il viso pallido e liscio di cui poteva ammirare il profilo affilato quando, nel parlare, si volgeva verso la sua fidanzata, faceva pensare a un giovane teologo. Di lei registrò soltanto il ricordo di una totale mancanza di eleganza.
La fidanzata in questione era una cugina polacca di Leopold e in giro si diceva «che il suo amore per quella fanciulla era quanto di più elevato e di più puro si potesse immaginare».
Leopold von Sacher Masoch e le sue avventure amorose erano un ghiotto argomento di conversazione nei salotti sonnacchiosi e incipriati di Graz. In quel periodo, fra l’altro, era stato appena pubblicato il suo primo romanzo e questo contribuiva ad aumentare l’interesse verso il trentenne scrittore.
Aurora aveva in Anna von Wieser un canale di informazione di prima mano in quanto la famiglia di quest’ultima era in stretti rapporti personali con quella dell’allora capo della polizia di Graz, il cavaliere von Sacher Masoch, padre di Leopold.
Le notizie che ogni mattina Anna portava alla classe di cucito erano spunto di interminabili discussioni. Aurora parlava poco, ma fantasticava molto e il suo chiodo fisso era diventato uno solo: Leopold. Trovava tanto naturale che Leopold desiderasse una tranquilla felicità domestica dopo un turbinio di relazioni irrequiete tanto da scrivere nel suo diario di invidiare la fidanzata di Sacher Masoch, di sognare di esserne la moglie e di vedersi «protetta dal suo amore forte e puro, in una bella casa elegante, circondata da graziosi bambini».
Leopold esercitava un fascino particolare sulle donne che, dal canto loro, facevano a gara per corrergli dietro. A questo proposito si diceva che Leopold avesse collezionato gli esemplari più eleganti, più belli e più interessanti senza però legarsi durevolmente. Anche se poi all’amico Berthold Frischauer, Leopold aveva confessato di essere stanco di tutte quelle relazioni e di agognare «la serenità del matrimonio».
Ma se c’era un uomo che non era fatto per un legame tradizionale come il matrimonio, quello era lui. «È un uomo troppo immaginoso», soleva dire la signora Frischauer, madre di Berthold. «Lui ha bisogno di una donna che lo soggioghi, che lo tenga incatenato come un cane e che lo prenda a calci se solo osa permettersi di ringhiare»,
Aurora era irritata da questi giudizi, tanto che arrivò ad accettare una sfida della signora Frischauer: «Vuole scommettere con me che la donna peggiore e la più perversa sarebbe la sua favorita?», Ma come provarlo? Semplice, disse, avrebbe scambiato sotto falso nome una corrispondenza «spudorata» con Sacher Masoch. Così fece e la risposta immediata non lascia adito a dubbi: lo scrittore si diceva inebriato e supplicava la sua ignota corrispondente di coprirlo di catene come suo schiavo. La signora Frischauer aveva vinto la scommessa, ma il gioco stava diventando pericoloso: Sacher Masoch insisteva nel volerla conoscere. Fu così che all’appuntamento fatale Aurora prese il posto dell’amica. La vita di entrambi si decise sotto la luce cruda di un lampione.
«Sono sconvolto dal pensiero che se adesso, fra un momento, ci separeremo, non la rivedrò più, così facendo mi causerebbe una sofferenza indicibile», disse Leopold. Aurora non lo lasciò. Anzi di lì a poco si parlò di matrimonio. Lui travolto da questa nuova passione, lei apparentemente reticente, dubbiosa della sua possibile costanza: era forse stato fidanzato troppo spesso e sicuramente aveva amato le sue fidanzate quanto diceva di amare lei. Eppure Aurora era decisa a darsi a lui: «Volevo essere soltanto un bell’episodio nella sua vita».
Il «bell’episodio» decisero di compierlo il 15 novembre, giorno di San Leopoldo. Aurora annota nel suo diario: «Questo sarebbe stato il nostro vero matrimonio, mentre quello che sarebbe avvenuto più tardi, quando le circostanze lo avrebbero permesso, non sarebbe stato che una mera formalità».
Fu un «bell’episodio» tranquillo. Lui l’accolse in frac e cravatta bianca. Lei indossava un vestito di seta nera. Come regalo di nozze ricevette una pelliccia da camera che ebbe modo di usare subito e di restare incinta.
Il matrimonio come formalità burocratica fu celebrato l’anno seguente, il 12 ottobre 1873, in tono dimesso a causa delle dissestate finanze dei Sacher Masoch. La chiesa parrocchiale del Santo Sangue era priva di addobbi eccezion fatta per due candele sull’altare, ma stracolma di gente, di curiosi, già un’ora prima della cerimonia. Questa volta Leopold indossava una redingote e Aurora – che d’ora in poi si farà chiamare Wanda, come la protagonista della Venere in pelliccia, il romanzo più celebre di Sacher Masoch – un abito da passeggio nero.
Le conseguenze di questo matrimonio causato da quello che i due ritennero un colpo di fulmine, furono disastrose. Del suo passato che vantava discrete esperienze (un prete, un parrucchiere, un pittore, un ufficiale) Aurora informò Leopold ormai accecato dal suo colpo di fulmine, a cose fatte, dopo la cerimonia nuziale vera, mentre litigavano perché lui si era dimenticato di comprare le paste per il rinfresco.
Il decadimento psichico di Leopold, in parte assecondato dalla moglie, fu progressivo e inarrestabile: dalle richieste di voler assaporare la voluttà della frusta (per garantirsi un piacere sicuro 
Leopold si era fatto fabbricare un knut a sei corde, cosparso di chiodi ) all’ossessione di trovare un amante per la moglie («Bisogna amare una donna fino alla follia perché la sua infedeltà ci faccia soffrire un martirio così delizioso come quello che soffrirò io quando ti vedrò fra le braccia di un altro uomo»).
La fine arrivò quando una sera Leopold strangolò il suo gatto preferito. Fu ricoverato al manicomio di Mannheim dove trovò la morte dieci anni più tardi, nel 1905.






Lacune...?






"Madame finge di avere qualche lacuna",
le classiche lacune di chi studia inglese. Piene di falsi-amici.
Che noi sappiamo non essere le Sue...
Fingeremo di coprirle. Sapendo di renderci ridicoli ai Suoi occhi.
Perchè è il radicale a dirla tutta.
NON in inglese.




"Knot" fa knut, per chi si destreggia con le lingue, come lo schiavo.
O di glottologia, come una serie di mentecatti senza fine.

Detto questo, si è detto tutto.
ma, già che ci siamo... knut fa "frusta", o un tipo di frusta particolare (tralasciando l'ugrofinnico tradizionale, che muta dalle uralo-altaiche, che mutuano dal tardo-scito, che mutua dal proto-hindu prima dell'invasione ariana, che mutua dalla democrazia cristiana, che mutua da santi preti...)


A knout (play /ˈnt/) is a heavy scourge-like multiple whip, usually made of a bunch of rawhide thongs attached to a long handle, sometimes with metal wire or hooks incorporated. The English word stems from a spelling-pronunciation of a French transliteration of the Russian word кнут (knut), which simply means "whip"."  Nat. Wiki

1766


Nel '600, in Russia, cominciò ad entrare in dotazione agli ufficiali militari il knut, che veniva usato per scopi prevalentemente punitivi nei confronti di criminali, oppositori politici e servi della gleba, ma da cui non erano immuni nemmeno le donne


Supplic du grand knout (circa 1765)








E poi... I.. "knut".




 http://www.metalkingdom.net/band/band_discography.php?idx=12903




Li chiami pure "intrecci". E ci prenda in giro.-
Noi... NON studiando inglese, "knut" lo sapevamo.
Essendo di madre russa. E di nonna slava.

Knot... ci lasciava a bocca sutta, non avendo lombi Stuart fra i coglioni. Chiedeveniamo








mercoledì 6 giugno 2012

lunedì 28 maggio 2012

TI desidero..







(e fra un po' non so come, non so perchè -soprattutto ora che ho scoperto, considerato, di non desiderare la frusta, e per niente se è superiore alla sensuale idea di poco più di una carezza, e se è invece DOLORE, chiaro ed indubitabile dolore, certo e doloroso dolore- credo che desidererò la TUA frusta (e non una frusta qualsiasi) come TE, se deciderai (o dovessi decidere per tuo sadismo personale) che "avere, toccare TE".. sia per  l'80 per cento delle volte "toccare" Te (o avere un contatto con TE) attraverso o per mezzo della frusta, come mezzo dedicato, e quasi risolutivo, del mio DESIDERIO DI TE.
Ed io che non desidero la frusta... la bramerei come sogno, contatto, presenza attenzione DI TE, mia SIGNORA E PADRONA.
DESIDEREI venire frustato, come desiderio/bisogno d' "INCONTRARTI..." se Tu, NEGANDOTI o TI NEGASSI  a me, PER TUO PIACERE.
PER IL PIACERE DI SENTIRE IL MIO DESIDERIO (sapientemente o senza far nulla provocato, stuzzicato, auto-provocato per l'esserTi vicino e per negarTi a me, TU) del Tuo profumo, della Tua PELLE , del TUO ODORE, di un Tuo gesto di una TUA Attenzione.
E, per piacer Tuo, di fronte al mio desiderio che DOVREBBE VENIRE ESPRESSO, come ora, sorridendo mi dicessi: "Se vuoi ti frusto. Ma ti farò male." E che fosse vero. Ed io, fra il desiderio di non passare attraverso il dolore, di non "pagare.." con dolore, l'appartenenza ad una sadica padrona
e il DESIDERIO DI TE...
deciderei di accettare (o sperare) la Tua Frusta come speranza di TE.

E se Tu Ti negassi poi di nuovo dopo, e mi riproponessi la Frusta come possibilità di Te, io la chiederi di nuovo, senza più volontà. O con la sola volontà di TE, fosse l'unica possibilità (per Tuo Piacere, per Piacere di Te) di sfiorare, dipoter essere toccato... da un aTua attenzione e piacere.


Sono quasi certo di questo.
E non so se continuerebbe a non piacermi il dolore, o se PER TE... mi piacesse riceverlo, mi diventasse caro.
Con TE... è già caro.. (anche se in minima misura: parte da zero, la mia sopportazione) in minima parte. Incommesurabilmente caro se legato alla speranza o percezione del Tuo Piacere, che forza verso l'alto la sfida della sopportazione (Oh come vorrei darTene a dismisura.. di simile estasi passionale, di tale meravigliosa e divina eccitazione.)



Queste sono solo parole, che nella retorica che tenta di darne l'intensità diventano noiose (e inopportune divagazioni). Pure raccontano (tentano di dire) ciò che mi attraversa in un lampo, come folgore, mentre Ti confesso di desiderarTI, e percepisco le Tue frustate, desiderando il Tuo odore.
Sapendo che esse TI  DANNO PIACERE.


















sabato 26 maggio 2012