domenica 19 febbraio 2012

Gate gate


Questo pezzo è uscito come commento a questo brano http://inprincipioeromia.blogspot.com/2012/02/spostamenti.html ... e quindi da questo non può essere disgiunto. Uno perchè altrimenti se ne capisce mezzo (non essendo esaustivo.. in sè). 
Due perchè da questo discende, ne è un sotto...prodotto.
Tre perchè quanto è accaduto e successo in virtù... della Signora (e del suo racconto) a cui rimetto questo, come umile e devoto omaggio. 
E questo è il pezzo.




E' stata, Signora e Padrona, un'esperienza sconvolgente o.. -a posteriori, forse solo- straordinaria. Di sicuro straordinaria, almeno.
Innanzitutto per tutto: ma il tutto potrebbe non fare peso. E quindi due cose, oltre quelle da lei (tu, voi) narrate, e sulle quali non è opportuno intervenire. Basti l'accenno: che poi le parole descrivono, e tradiscono la sostanza.
Basti quindi l'accenno dei fatti (e non delle sensazioni, delle emozioni, che non sono "accenni" di Madame, ma radiografie, fotografie).
Qual è stato lo "straordinario" mio (oltre al Tutto, già dichiarato)?
Due cose dicevo, direi, due aspetti tasti forti, sostanziali. Incisivi.
Oltre a tutto, o preparato dal (inserito nel) tutto, ciò che mi ha fatto saltare "fuori" (uscire dal mondo, in cui "credevo..." d'essere) è stato, infine... l'odore/sapore dell'urina, della Padrona.
Prima pensavo di essere in un qualche equlibrio (per quanto so che fosse un'opinione ridicola, vista da un'altra persona, vista dallo sguardo della Padrona). Poi.. non avevo nessun controllo. Perso, assegnato, affidato (alle dalle sue mani), in pugno, perduto-sperduto. Andato. Gate Gate, Paragate (Parasangate, Bodhi Svaha.)

 
 Prajñāpāramitā Hṛdaya sūtra -Sutra del cuore della perfezione di saggezza, o della conoscenza trascendente. 
Qui in cinese, in una calligrafia del 635 (d.c.) di Ouyang Xun (557–641)

Ed è stato quando, nudo e bendato; a terra a quattro zampe, mi è arrivata, insieme alle sue mutande in pizzo, bagnate, assieme ai suoi umori, il sentore della sua urina, che il tessuto lasciava trasparire. Le due-tre cose, milione di cose insieme.. sono state una bombardata, un'esplosione. La ragione (se, si può inventare UNA ragione) era che la Padrona mi era arrivata in modo tutto naturale: nella pienezza di sè, nell'interezza che la compone. Con una trasmissione d'intimità inusitata, una nudità quasi, piena, una pienezza ed assegnazione (e nello stesso tempo.. indifferenza).. distacco, allo schiavo, a chi era il suo schiavo. Con una superiorità, un distacco, e nello stesso tempo una presenza, una totalità... totale.
Un darsi e un imporsi, un essere... come non era mai stato (mi parve, ma ero già... sballato, senza vista, cieco, tenuto al guinzaglio/collare, con la padrona sul mio dorso -o era ancora no? non capisco niente, non ricordo- ).
Quando -immediatamente, istantaneamente, un nanosecondo o due secondi dopo i suoi umori, il tessuto grondante d'eccitazione e piacere- mi è arrivato l'odore e il sapore dell'urina, della Sua urina, 



mi è esploso il cervello e me ne sono... innamorato. 
Questo è stato il pensiero che mi è passato, la descrizione.. didascalia. Di ciò che provavo. Oltre il pensiero, è passata la descrizione come su un film muto, la finestra con il fondo nero, che spiega. E non come urinofilo, o come si può chiamare, ma come schiavo.
"Innamorato" dell'urina (come oggetto di mia pertinenza..) della Padrona. Dell'urina per la Padrona (al posto della, come simbolo o espressione della). Innamorato DELLA Padrona attraverso la sua urina e.. della Padrona con la sua urina, cioè del suo sentore.
E quando poi si è fatta baciare, nonostante l'odore fosse molto ma molto più labile, quasi impercettibile, fra i profumi della carne, pure lo distinsi e scoprii.. che lo seguivo.
Lo insenguivo, nelle/con le mie cellule olfative. Era il SUO.
A quel punto ero cotto e la mia mente poteva essere portata su un vassoio, come cibo per cani.
Anche se io non lo sapevo, e pensavo d'essere abbastanza normale.
Come quelli a cui tranciano la gamba in un incidente, lo vedono e dicono: "Non è successo niente: tutto normale." E sono convinti di camminare.
Ero, se vale quello che si dice o dicono... tutto dentro il sub-spazio. E quando mi ha messo a letto (senza s-bendarmi e senza interrompere la situazione)... non ne sono più uscito. Mica lo sapevo... io pensavo (come al solito... "pensavo...") che era tutto normale: quasi. Cioè non capivo niente, grosso modo. Riuscivo a tenermi in vita. Respirare, riuscire a muovere le mani... avere il coordinamento fra intenzioni (salire la scala) ed effetti muscolari. Non molto di più, nè altro.
E lì, dopo un tempo x, sono entrato nel sonno. Bendato, al buio, stralunato. Fermo come se fossi legato, attraverso la bocca parte delle mutande della Signora (come viatico per il viaggio... come fazzoletto, quello delle Dame nelle scene d'Amor cortese) poste fra lingue e palato. Il Suo Sapore, il Suo odore, e lei che se n'era andata. Ero solo, legato (non so da cosa) e abbandonato (non so come, che più abbandonato e legato a lei non potevo essere). Nel buio, silenzioso.
Sono sprofondato in un sonno senza aver perso l'eccitazione, senza essere venuto (senza che lei fosse venuta), e tutto in sommo grado. Da lei umiliato. Dominato e sottomesso. Usato per il suo piacere (e per quello di dominare).
Se n'era andata, come una regina può lasciare uno schiavo.





Ed ero (si dice, si diceva) nel subspazio. Entrato come un missile nel sonno (stanco, sonno arretrato?) vi sono crollato, iper-eccitato. E con l'esperienza (e la consapevolezza) per me del tutto inconsueta... di esser(mi..) innamorato della pipì della mia Padrona. Cioè di esservi legato. Di eservi sottomesso e dipendente.
E con l'umiliazione e la vergogna.. che può rilasciare o consegnare un pensiero del genere, o una condizione del genere.
Perciò per niente in pace.
Mi sono svegliato un bel po' di ore dopo. Non sapevo che ora fosse, perché mi sono svegliato che ero ancora bendato.
Stupito, che la benda non si fosse sciolta (con i movimenti del sonno), non avevo modo per sapere quanto avessi dormito, che ore fossero. Nessun suono.
Completamente sveglio (dopo poco o dopo un altro po') ho deciso di togliermi la benda perché mi sarei alzato. (Non avevo avuto istruzioni. Solo un silenzio, mentre la Padrona se ne andava. Un meraviglioso, padronale silenzio.
Forse indifferenza. O forse... si era detto già tutto; già tutto dato.).
Ho guardato l'ora. Erano le quattro del mattino.
(Ora per me non così inconsueta, per svegliarmi).
E mi sono ripromesso di alzarmi. Convinto che fosse tutto normale.
Di “essere” (al solito) normale.
Ci ho impiegato due ore.
Dalle quattro alle sei a letto, e non per pigrizia.
Non riuscivo a riconnettere tutti pezzi di me sparsi in giro, e neanche quelli di base.
Neanche quelli necessari per scendere dal materasso, accendere la luce e mettersi su un caffè: dopo tutto si sarebbe organizzato.
In realtà ero esploso.
Ritengo ora (l'ho pensato ieri sera, mentre preparavo da solo da cena per la Signora e per i suoi amici)... che (nel sonno? Nel tempo nello spazio) qualcosa fosse accaduto -o forse fosse proceduto- come raramente accade. E che il concetto di sub-spazio (o forse il termine sub-spazio, per quanto affascinante nell'etimo “sub”) fosse impreciso, o inadeguato. O forse adatto a descrivere il prima, la sera.
Perché il mattino dopo, alle quattro di mattina, io mi trovavo in un iper...spazio.
Cioè un luogo un universo dilatato, dove non trovavo i confini (i capisaldi, due strutture) a cui ancorare l'io. O su cui ri-definire l'io. Due punti di vista, di fuga, come diavolo si chiamano in prospettiva, da cui ricavare le coordinate. Di me. E non perché avessi bevuto o mi fossi drogato.
Due ore. In cui cercavo di riconnettermi, di capire chi ero. Due ore più tutte le ore... dai fatti. In cui tutto era proceduto, seppure io avessi dormito... bendato.
Ed ero in una situazione né estatica né avvilente, né stanca o distratta o confusa... semplicemente non sapevo dov'ero e cos'ero io, sostanzialmente. CHI ero io..
Schiavo di Madame.
Questo era certo ed era fuor di dubbio (era l'unica cosa certa, presente). Ma non riuscivo neppure a mettere a posto i pezzi, per ricostruire questo schiavo. Le formule funzionali, le sensazioni. Le realtà e le coordinate. Cosa avrei dovuto (o voluto) fare, e le opinioni connesse a questo, i giudizi (piacere/dispiacere), cosa avrei sentito o come avrei vissuto ciò che avessi fatto. Cosa succedeva se mi fossi ammaccato un piede, a piedi nudi, contro una zampa di qualcosa. Come fare il caffè, o scendere dal letto.
Era tutto vero (ciò che era accaduto) e come sempre era accaduto per sempre: erano vere le mutande e le frustate e le bende, eppure mancava qualcosa: l'io. Un io che le valutasse o che le collocasse in una griglia percettivo-culturale, e nonostante fossi perfettamente sveglio, capace di muovermi, e sensibile.
Ho impiegato due ore di lavoro (due ore... di nulla) per ritornare nel corpo (o ad avere un corpo; essere... un corpo, pur essendo nel frattempo un corpo: forse mancava la mente -pur avendo una mente che funzionava... normalmente-), o per ritornare... una persona normale. In grado ad esempio di farsi un caffè. O che il caffè stesso avesse una qualche, e specifica, importanza.
Per questo mi veniva di toccarmi (fra la coscienza e l'incoscienza, o in coscienza, e incoscienza) il pene. Non perché fossi eccitato o perché mi veniva piacere, ma perché era la parte che di più sentivo. Era pura sensazione... tattile: una mano, un dito toccava un pene.. ed ero tutte e due io.
(questo lo capivo, lo sapevo, ma non lo “sentivo”... cioè mancava l'io che unisse le due sensazioni, facendole diventare unitarie, e parte dello stesso insieme. Dello stesso “uno”. Erano neutre, presenti, perfette congiunte e separate. Eppure toccando il pene qualcosa arrivava. Se mi toccavo le due mani, mi pareva di essere un pezzo di legno, o scemo.
Di tanto in tanto (ogni venti minuti?) toccandomi per qualche secondo il pene, qualcosa sembrava riorganizzarsi, e arrivava.
Nel frattempo.. pensavo ininterrottamente alla Padrona. (oddio.. pensare è un termine eccessivo: era al centro della mia attenzione. E della mia consapevolezza anche, se è per quello. In relazione a lei mi definivo.)
Lei era l'unica cosa che prendesse seriamente la mia attenzione. Di non esserci io... passava sottotono, o in sordina. Era secondario. C'era Lei, e questo faceva definire e ricordare il mondo.
Seppure in un modo che ricorda molto la carenza d'ossigeno, nelle descrizioni che ne facevano gli alpinisti. Himalayani. Devo... aver salito un'ottomila.
E lo chiamano... “sub-spazio”.
Per quattro gocce d'urina. E una Padrona Sublime.
La Sua frusta, e le Sue frustate. Il Suo piacere. D'essergli schiavo.




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