giovedì 23 febbraio 2012

Gelosia








Ieri sera ho sofferto la gelosia.
Sì lo so che è cosa ridicola ed inquietante.
Assolutamente senza senso, anzi totalmente al contrario di ogni buon senso. Ma proprio al verso opposto, anzi in controsenso. Ma così è andata.
Perché “contro-senso”? Perché “io” (prendiamo l'io normale -o storico, o precedente)... geloso?
Sembra andar contro il percorso (non solo mentale) di anni, e di una lunga strada precedente.
L'io schiavo (o io presente)... come può essere geloso, uno “schiavo”?
E geloso poi della Padrona, è completamente folle, e controsenso. Completamente improponibile, errato, impossibile da assumere e da giustificare. Secondo ogni punto di vista. (Uno schiavo non può “permettersi”, di essere geloso della Padrona. Deve solo servirla.)
Infine... non ve n'era alcuna ragione, e lo sapevo benissimo.
Nessun senso, e nessuna argomentazione, appiglio, sostanza.
All'osteria, mentre chiacchierava con M. Un amico.
Ma ho visto la gelosia. L'ho riconosciuta, provata. Una gelosia antica.
Quella gelosia che rode le viscere, che fa sentire legati. Impotenti, vittime della perdita (assenza, mancanza) della persona stimata.
Una gelosia di trent'anni fa (e anche dopo) che pensavo che non avrei più provata.
E che ho ritrovato invece in tutto il suo sapore, per quanto -ovviamente- in più modesta misura (e non di una dimensione così assolutamente sconvolgente). Ma il sapore era lo stesso: era lo stesso gusto, esatto.
A differenza di un tempo l'ho guardata. Riconosciuta e provata (non che sia un gran risultato: era diversa la grandezza, e il ruolo -aiutava, in questo-. O forse la causava.).
Ma stupore che sia avvenuta, che sia... comparsa. Non me l'aspettavo. E l'ho vista precisa, in trasparenza. Apprezzata, come “sofferenza”. (Di questo forse la Padrona ne trarrà piacere. Dalla “sofferenza. Per lei. Geloso. Per quanto ci vadano le virgolette, per rispetto... a Lei, e al Suo potere. Al Suo ruolo. Che non è soggetto a gelosie di uno schiavo. seppure le provoca, e ci gode)
E dunque perché?
Stupidamente, perché. E meglio, perché si manifesta pienamente, chiaramente, dimostrandosi in-fondata.
Perché la Padrona era fuori che parlava con M. (di cui non sono invidioso della compagnia, cioè non ho rammarico per tale mancanza). Rideva e scherzava. L'uno di fronte all'altra, con un bicchiere di vino in mano. M. (Padrona) molto disinvolta (e, credo, compiaciuta) ed M. (l'amico) felice e lieto.
Io ero dentro, appena oltre la porta e la vetrina, con E. (altro amico) impegnato con lui a chiaccherare. E. ed M. non si conoscono, e non avevano ragione di desiderare di farlo, e quindi io ero isolato, con il primo.
Questo non poter uscire (ed essere impegnato con E., e con i discorsi suoi) mi ha mosso... gelosia. L'ho sentita arrivare. Proprio da lontano, pulita pulita.
(Chiaro che adesso, a cento anni, ho anche due occhi un po' più lucidi per vederla, senza confonderla, o confondermi.
Ho... la vista un po' più precisa.)
Stupore, ma rimaneva. Era proprio la Signora Gelosia. Uscita chissà da dove, tutta in ghingheri e con i tacchi a spillo, fru-fru, seppure non faceva chiasso ed era piuttosto sommessa.
Ma inequivocabilmente si è presentata a farmi visita, e in pompa magna. Cioè pienamente signora, e sé stessa.
Dentro e attorno ci giocavano, come valletti, il fatto (il primo fatto) di M. con la Padrona.
Di quando si era innamorato, e mi aveva poi chiuso fuori dalla porta di casa mia, insomma quella serata. E poi la seconda volta, quando la Signora (M ) se ne era parzialmente (o tanto) eccitata, e si figurava o fantasticava di chiamarlo direttamente per scopare assieme.
In più, il fatto di essere escluso.
In questo (in questo “quadro”, e dato questo “quadro”, per quanto bislacco sia) andava IN SOMMA il fatto di essere schiavo (e quindi a rinforzo...) di non poter PROPRIO avvicinarmi (cioè fare in modo di non essere escluso). Su questo, l'impossibilità “materiale” data dalla presenza fisica dell'altro amico, faceva da serratura, chiudeva la prigione.
Cioè ero impossibilitato a cambiare le cose (e l'ordine delle cose), per quanto inventate (e, forse, pure infondate..) fossero.
Da lì la gelosia ansiosa, che non conosceva ragioni.
Il fatto di essere schiavo, siglava con fermezza -o con sensazioni materiali- il fatto che, SE FOSSE STATA VERA... non avrei potuto farci niente lo stesso (o a maggior ragione).
Quindi, che la ragione, la situazione fosse vera o meno (giustificata o meno) aveva minore e relativa importanza di fronte al fatto che non avrei potuto farci niente in nessun modo, e che dovevo subire il fatto (che era quello che stavo facendo in quel momento, seppure in una dimensione cerebrale o simbolica). Come minimo la raffiguravo e la vedevo... come una minaccia o una promessa. Con in più il fatto di essere astratta, e quindi neanche percettibile o contestualizzabile nella sua realtà.
Di fatto... ero terribilmente geloso, legato, dolorosamente geloso. Senza averne ragione, né possibilità.
E' stata una bella esperienza. Curiosa. Sia come schiavo (di solito questo non accade, o non forse non dovrebbe accadere, e chissà o come avrebbe a ripetersi, in occasione reale. Se per nulla o in maniera precisa, o parziale. O non “pura”, cioè mescolata con altri moti o emozioni, e non esclusiva e isolata)... che per aver ritrovato una (e più d'una) vecchie emozioni, che credevo estinte, e staccate. Ed invece esperienze presenti, sotto pelle, a disposizione.
Per un vissuto da schiavo, che sono io, tutto da scoprire. In un'altra emozione, altra situazione, su cui questi temi sono, sono stati, e vengono vissuti.
Per il Piacere della Padrona, qui.

E di farmi soffrire, con pieno Potere .
Del Suo piacere.
E così sia

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