Ieri sera ho sofferto la gelosia.
Sì lo so che è cosa ridicola ed
inquietante.
Assolutamente senza senso, anzi
totalmente al contrario di ogni buon senso. Ma proprio al verso
opposto, anzi in
controsenso. Ma così è andata.
Perché
“contro-senso”? Perché “io” (prendiamo l'io normale
-o storico,
o precedente)... geloso?
Sembra andar contro
il percorso (non solo mentale) di anni, e di una lunga strada
precedente.
L'io schiavo (o io
presente)... come può essere geloso, uno “schiavo”?
E
geloso poi della Padrona, è completamente
folle, e controsenso. Completamente improponibile, errato,
impossibile da assumere e da giustificare. Secondo ogni punto di
vista. (Uno schiavo non può “permettersi”, di essere geloso
della Padrona. Deve solo servirla.)
Infine... non ve n'era alcuna ragione, e lo sapevo benissimo.
Nessun senso, e nessuna argomentazione, appiglio, sostanza.
All'osteria, mentre chiacchierava con M. Un amico.
Ma ho visto la gelosia. L'ho riconosciuta, provata. Una gelosia
antica.
Quella gelosia che rode le viscere, che fa sentire legati. Impotenti,
vittime della perdita (assenza, mancanza) della persona stimata.
Una gelosia di trent'anni fa (e anche dopo) che pensavo che non avrei
più provata.
E che ho ritrovato invece in tutto il suo sapore, per quanto
-ovviamente- in più modesta misura (e non di una dimensione così
assolutamente sconvolgente). Ma il sapore era lo stesso: era lo
stesso gusto, esatto.
A differenza di un tempo l'ho guardata. Riconosciuta e provata (non
che sia un gran risultato: era diversa la grandezza, e il ruolo
-aiutava, in questo-. O forse la causava.).
Ma stupore che sia avvenuta, che sia... comparsa. Non me l'aspettavo.
E l'ho vista precisa, in trasparenza. Apprezzata, come “sofferenza”.
(Di questo forse la Padrona ne trarrà piacere. Dalla “sofferenza.
Per lei. Geloso. Per quanto ci vadano le virgolette, per rispetto...
a Lei, e al Suo potere. Al Suo ruolo. Che non è soggetto a gelosie
di uno schiavo. seppure le provoca, e ci gode)
E dunque perché?
Stupidamente, perché. E meglio, perché si manifesta pienamente,
chiaramente, dimostrandosi in-fondata.
Perché la Padrona era fuori che parlava con M. (di cui non sono
invidioso della compagnia, cioè non ho rammarico per tale mancanza).
Rideva e scherzava. L'uno di fronte all'altra, con un bicchiere di
vino in mano. M. (Padrona) molto disinvolta (e, credo, compiaciuta)
ed M. (l'amico) felice e lieto.
Io ero dentro, appena oltre la porta e la vetrina, con E. (altro
amico) impegnato con lui a chiaccherare. E. ed M. non si conoscono, e
non avevano ragione di desiderare di farlo, e quindi io ero isolato,
con il primo.
Questo non poter uscire (ed essere impegnato con E., e con i discorsi
suoi) mi ha mosso... gelosia. L'ho sentita arrivare. Proprio da
lontano, pulita pulita.
(Chiaro che adesso, a cento anni, ho anche due occhi un po' più
lucidi per vederla, senza confonderla, o confondermi.
Ho... la vista un po' più precisa.)
Stupore, ma rimaneva. Era proprio la Signora Gelosia. Uscita chissà
da dove, tutta in ghingheri e con i tacchi a spillo, fru-fru, seppure
non faceva chiasso ed era piuttosto sommessa.
Ma inequivocabilmente si è presentata a farmi visita, e in pompa
magna. Cioè pienamente signora, e sé stessa.
Dentro e attorno ci giocavano, come valletti, il fatto (il primo
fatto) di M. con la Padrona.
Di quando si era innamorato, e mi aveva poi chiuso fuori dalla porta
di casa mia, insomma quella serata. E poi la seconda volta, quando la
Signora (M ) se ne era parzialmente (o tanto) eccitata, e si figurava
o fantasticava di chiamarlo direttamente per scopare assieme.
In più, il fatto di essere escluso.
In questo (in questo “quadro”, e dato questo “quadro”, per
quanto bislacco sia) andava IN SOMMA il fatto di essere schiavo (e
quindi a rinforzo...) di non poter PROPRIO avvicinarmi (cioè fare in
modo di non essere escluso). Su questo, l'impossibilità “materiale”
data dalla presenza fisica dell'altro amico, faceva da serratura,
chiudeva la prigione.
Cioè
ero impossibilitato
a
cambiare le cose (e l'ordine delle cose), per quanto inventate (e,
forse, pure infondate..) fossero.
Da lì la gelosia ansiosa, che non conosceva ragioni.
Il fatto di essere schiavo, siglava con fermezza -o con sensazioni
materiali- il fatto che, SE FOSSE STATA VERA... non avrei potuto
farci niente lo stesso (o a maggior ragione).
Quindi, che la ragione, la situazione fosse vera o meno (giustificata
o meno) aveva minore e relativa importanza di fronte al fatto che non
avrei potuto farci niente in nessun modo, e che dovevo subire il
fatto (che era quello che stavo facendo in quel momento, seppure in
una dimensione cerebrale o simbolica). Come minimo la raffiguravo e
la vedevo... come una minaccia o una promessa. Con in più il fatto
di essere astratta, e quindi neanche percettibile o
contestualizzabile nella sua realtà.
Di fatto... ero terribilmente geloso, legato, dolorosamente geloso.
Senza averne ragione, né possibilità.
E' stata una bella esperienza. Curiosa. Sia come schiavo (di solito
questo non accade, o non forse non dovrebbe accadere, e chissà o
come avrebbe a ripetersi, in occasione reale. Se per nulla o in
maniera precisa, o parziale. O non “pura”, cioè mescolata con
altri moti o emozioni, e non esclusiva e isolata)... che per aver
ritrovato una (e più d'una) vecchie emozioni, che credevo estinte, e
staccate. Ed invece esperienze presenti, sotto pelle, a disposizione.
Per un vissuto da schiavo, che sono io, tutto da scoprire. In
un'altra emozione, altra situazione, su cui questi temi sono, sono
stati, e vengono vissuti.
Per il Piacere della Padrona, qui.
E di farmi soffrire, con pieno Potere .
Del Suo piacere.
E così sia
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